Ci adattiamo facilmente alla felicità. La felicità non è una linea retta, nella nostra vita, ma piuttosto una spirale in continua evoluzione, costellata di momenti “up&down”, tra felicità ed infelicità. Ad ognuno di questi stati, in ogni casi, ci adattiamo rapidamente, tornando ad una specie di equilibrio personale che chiamiamo “normalità”. Le ricerche scientifiche ci aiutano a capire pro e contro dell’adattamento edonico.
Felicità ed equilibrio: l’adattamento edonico
Ci adattiamo alla felicità. Lo dicono le ricerche degli psicologi Frederick e Loewenstein: dopo un lieto evento, che corrisponde ad un picco di felicità, tendiamo a tornare ad un normale livello di soddisfazione. È quello che viene chiamato “hedonic adaptation”, l’adattamento edonico, che consiste nella tendenza dell’essere umano di ritornare a livelli stabili di felicità (una specie di “set-point” basale). Questo accade sia dopo un evento di felicità intenso, sia dopo un evento negativo.
Questo processo è molto utile quando ci aiuta a tornare ad un livello di serenità, dopo una crisi, impedendoci di restare infelici per sempre, ma… è anche controproducente: ogni volta che abbiamo un momento di felicità, lo viviamo solo per pochi istanti e poi torniamo alla normalità.
Felicità e resilienza: il sistema immunitario psicologico
Dan Gilbert, professore di psicologia all’Harvard College, afferma che le persone quando ottengono quello che vogliono sono felici, ma quando non lo ottengono o addirittura ottengono l’opposto sono felici ugualmente. Un rompicapo per gli psicologi!
Gilbert sostiene che esista un vero e proprio “sistema immunitario psicologico” in grado di attivarsi quando viviamo un forte stress e che ci permette di affrontare le avversità. Secondo lo psicologo, spesso ci si dimentica di avere queste capacità e si tende a sopravvalutare la durata delle reazioni affettive agli eventi negativi. Questa tendenza è stata dimostrata in sei studi in cui i partecipanti hanno sopravvalutato la durata delle loro reazioni affettive ad alcuni eventi significativi. Ad esempio, lo scioglimento di una relazione romantica, una sconfitta elettorale, un feedback negativo sulla personalità, un rifiuto da parte di un potenziale datore di lavoro.
In uno studio, hanno chiesto ai giovani professori dell’Università del Texas di prevedere come si sarebbero sentiti quando avrebbero ottenuto la cattedra. In una scala da 1 a 7 quelli che hanno ottenuto la cattedra si sentivano felici 5, quelli che non l’hanno ottenuta 4. Solamente un punto di differenza. Questo dimostra che le notizie buone non sono mai così buone e quelle cattive mai così cattive quanto crediamo.
Gli eventi positivi o negativi, quindi, non ci influenzano per così tanto tempo come pensiamo. Così come non c’è niente che ci dia una felicità eterna, anche le cose negative non ci influenzano per sempre, il problema e che non ce ne accorgiamo e ci abituiamo anche alle condizioni negative.
Questo ritorno al proprio “set-point” basale iniziale, può ricordare la resilienza, la capacità di un sistema di tornare al suo stato originario (pre-trauma). Non è però questa la concezione di resilienza che amiamo di più, preferiamo infatti quella data dall’HeartMath® Institute per cui la resilienza è:
- sia la capacità tornare al proprio stato iniziale, dopo uno stressor;
- sia la capacità di essere pronti alle sfide, con anticipo – lavorando con continuità sulle pratiche di coerenza cardiaca;
- sia la capacità di gestire lo stressor quando presente.

Felicità e futuro: quanto siamo bravi a costruire prospettive per il futuro?
La capacità di prevedere quanto e come una situazione negativa o positiva ci influenzerà ha a che fare con la capacità dell’essere umano di prospettare il futuro. L’essere umano possiede senza dubbio la capacità di costruirsi delle visioni di possibili futuri (prospettive), altrimenti non sopravvivrebbe.
Tuttavia, questa abilità contiene dei bug, degli errori. Uno di questi è che il cervello non può prevedere tutto quello che succederà. Una nostra previsione sul futuro ci permette di avere rapidamente un’idea di quello che potrà accadere, e questo è il suo punto di forza: fornisce opzioni, scenari, da cui poter trarre conclusioni e decisioni.
Tuttavia, spesso, produciamo queste prospettive con estrema velocità e carenza di dettaglio (ci si affida a dei bias cognitivi, come quello della “disponibilità”). Questo viene anche testimoniato dallo studio di Dan Gilbert per il quale risulta che non siamo molto bravi a predire come ci sentiremo dopo un brutto evento poiché non prendiamo in considerazione la nostra capacità di adattamento e la nostra resilienza.
Pensiero positivo e pensiero negativo
Gabrielle Oettingen, professoressa di psicologia alla New York University e autrice di un libro intitolato “Rethinking Positive Thinking”, ritiene che il pensiero positivo, in realtà, ci allontani da ciò che vogliamo. I nostri pensieri positivi dissipano la nostra energia e sono un impedimento all’azione.
Secondo Oettingen, pensare di ottenere una cosa fa credere al nostro cervello di averla ottenuta e per questo si “rilassa” non ha necessità di riottenerla. Questo si vede anche dall’abbassamento della pressione nei soggetti degli esperimenti. Per ottenere dei risultati bisogna radicare il pensiero positivo nella realtà: è una strategia che Oettingen chiama “mental contrasting“.
Ecco come funziona: ogni volta che pensiamo a un risultato positivo da ottenere, dobbiamo confrontarlo con la situazione reale, pensare agli ostacoli sia fisici che mentali, visualizzare gli ostacoli interiori e superarli. Così si ottiene l’energia per superarli. Non si tratta di pensiero negativo, ma è un modo utile per includere gli ostacoli nei piani e quindi fare previsioni. Questo ci permette di capire cosa possiamo o vogliamo ottenere.
L’adattamento edonico, giorno dopo giorno
Siamo abili a tornare alla nostra normalità dopo un momento sfidante, difficile o “di bassa”. Allo stesso tempo, però, non riusciamo a goderci pienamente i momenti belli, perché siamo abituati a spostare la nostra asticella della felicità sempre un po’ più in là: una nascita, un evento piacevole inatteso, una nuova promozione, diventano rapidamente parte della nostra normalità e smettono di essere fonte di felicità.
Questo accade, però, solo se pensiamo ad una felicità di tipo edonico.
Grazie alla scienza della felicità, invece, sappiamo da ormai quasi trent’anni, che esiste anche un’altra visione della felicità, quella eudaimonica, che la rilegge come una competenza che possiamo allenare, coltivando intenzionalmente determinate aree della nostra vita.
E questo è il nostro obiettivo: insegnare a più persone possibili (1 milione entro il 2030) che esiste una visione diversa della felicità, fornendo loro le giuste pratiche per coltivarla. Lo facciamo divulgando teorie e modelli scientifici nel nostra gruppo La Specie Felice ed insegnando le pratiche nei nostri corsi.
Teorie e pratiche le insegniamo anche tutte insieme, in un programma unico, di un anno, che è per noi la “palestra”, la comunità di pratica con cui costruire una Specie Felice: Vivi365 – costruisci la tua felicità.

Articolo scritto da Cristina Pozzi e Matteo Ficara
Ricerche e approfondimenti proposti da Lara Lucaccioni