Benessere e felicità sono due parole che spesso sembrano intercambiabili ed addirittura utilizzabili come sinonimi, ma non è così. Grazie alla Scienza della Felicità (e ad un pizzico di etimologia) possiamo sciogliere ogni dubbio e comprenderne le differenze.
Scienza della Felicità
La scienza della felicità è una disciplina giovane, che inizia attorno agli anni 2000, ma molto proficua: ha infatti attirato l’interesse di moltissimi centri di ricerca e università nel mondo, come Harvard, la Berkeley University, Yale (col corso sulla felicità che ha raggiunto 1,9 milioni di iscrizioni) e anche Palo Alto.
Uno dei momenti cardine della sua origine fu quando Martin Seligman, all’epoca presidente dell’APA (associazione psicologi America), decise di spostare il focus dell’attenzione dagli stati disfunzionali e di malessere delle persone, agli stati positivi, di salute, benessere e felicità.
E proprio Seligman ci aiuta a comprendere una delle differenze fondamentali tra benessere e felicità, quando ci racconta del suo passaggio dalla “teoria della felicità autentica” alla “teoria del benessere”.
La teoria della felicità autentica e del benessere
La teoria della felicità autentica è la prima che ideò Secondo questa teoria, tutto quello che facciamo, lo facciamo per essere più felici. Poi una sua studentessa gli fece notare che a volte, in particolar modo in competizioni, nel lavoro ed in alcune situazione della vita, vogliamo semplicemente “vincere”, raggiungere un risultato, sentirci soddisfatti.
E da lì nacque la teoria del benessere, che vedeva la felicità come un costrutto, ovvero come un modello entro cui più voci partecipavano ad aumentare quella “felicità” (che venne sostituita col termine più vasto di “benessere”): emozioni, senso di appartenenza e partecipazione alla vita, relazioni, soddisfazioni, realizzazione personale, scopo e sendo del vivere. Tutte voci che Seligman raccolse nel suo “PERMA model” (per approfondire trovi l’articolo su: “La Scienza della Felicità“)
Un’osservazione semplicissima, capace però di aprire una visione e dare vita ad uno dei modelli più conosciuti sulla felicità e ci dà il metro sulla differenza che, generalmente, si riscontra tra i due termini: la felicità viene spesso intesa solo come qualcosa di “sfuggente”, di emozionale (teoria edonica: emozioni e piacere), mentre al benessere viene legato un concetto più vasto, che ci invita a portare l’attenzione in più direzioni.
Felicità ed etimologia
Un altro modo per leggere la diversità tra i termini è quello di guardare alla loro etimologia (che amiamo molto): “felicità” viene dal latino “felix”, col significato di “fertile”, mentre “benessere” ha un etimo più complesso, che si fa risalire a “bonum” (buono), come anche a “beare”, con un significato – componendo “bene+essere” – simile a “vivere beatamente”.
Ci piacciono ambedue le soluzioni, ma pensare alla felicità come “fertilità”, ovvero come capacità di essere abbondanti, di avere energie da vendere, possibilità di scelta e di futuri, prospettive, avere una “vastità” interiore, ci dà un senso di maggiore bellezza.
“Faccio voto di vastità” – diceva Bergonzoni
Felicità e Report
Anche a livello internazionale non è facile scegliere: in Italia abbiamo il BES, l’indice annuale sul benessere equo e sostenibile, dove hanno evidentemente scelto la parola “benessere”; mentre esiste anche un World Happiness Report (leggi l’ultimo WHR qui) dove hanno scelto la parola “happiness”, cioè “felicità”.
Happiness for Future
Per il nostro impegno abbiamo scelto la parola “felicità”. Ci trasmette più energia, senso di possibilità, forza e gioia. Abbiamo compreso il benessere al suo interno, infatti la felicità per noi è benessere e consapevolezza. E non solo per sé, ma anche a livello sociale ed ecosistemico.
Ecco il perché del nostro impegno nella Divulgazione e nella Formazione.
Si può essere consapevoli, ma tristi.
Si può stare nel benessere, ma in modo egoico.
Noi scegliamo la felicità, intesa in senso ecosistemico.
