Il lavoro sta cambiando. Cambia il modo di pensarlo, di approcciarsi al mondo ed al mercato del lavoro, di viverlo. Ci sono competenze e skills nuove da apprendere, nuovi mestieri che nascono ogni giorno.
Oggi è difficile orientarsi nel mondo del lavoro: stanno cambiando i paradigmi (lavoro liquido, agile) che conoscevamo, le skills, le tipologie di lavoro e mansione richieste. Cambiano anche i luoghi, tra nomadi digitali, lavoro da casa ed uffici green; ed i tempi: tutto è in rapida evoluzione e bisogna sapersi re-skillare ed up-skillare rapidamente. Se con le conoscenze acquisite in un percorso di laurea, 40 anni fa, potevamo trovare un lavoro stabile e costruire una vita, oggi quelle conoscenze durano meno di 18 mesi.
Ancora più difficile è pensare ai futuri del lavoro ed ai lavori del futuro.
Siamo ufficialmente nell’epoca della complessità e guardare ai possibili scenari, significa riuscire a tenere lo sguardo su molti trend contemporaneamente: tecnologici, politici, economici, sociali e ambientali.
Senza contare che siamo nel pieno della IV° rivoluzione industriale, nel post pandemia globale, con una guerra in attivo in Europa ed una “guerra fredda” economico-politica tra USA e Cina.
In questo articolo non pensiamo di dare una risposta alla domanda sui lavori del futuro, ma di condividere informazioni e visioni possibili, sempre da integrare, ampliare, rivedere.
Report mondiali sul lavoro
Come primo passo cerchiamo di tratteggiare un po’ la situazione attuale, per cercare (in una seconda fase) di individuare alcuni possibili temi principali attorno ai quali portare l’attenzione e, nella terza – ed ultima – sezione dell’articolo, arrivare a riflettere anche su alcune possibili prospettive future.
I report ai quali ci siamo affidati sono, in particolare:
- GALLUP, State of the Global Workplace 2022
- Microsoft, Work Trend Index 2022
- OEDC ,report 2022;
- World Economic Forum, reports 2022
- World Economic Forum, The Future of Job 2020
- World Happiness Report, WHR 2022
Ed altri dati, riportati in questi report, anche da osservatori italiani (come INPS, HR del Politecnico di Milano e AIDP). Naturalmente ogni report contiene in sé altre ricerche, sarà nostra premura cercare di mettere tutti i riferimenti.
Il mondo del lavoro
Secondo una rilettura di Wired, il World Trade Index di Microsoft (16 marzo 2022) sembra potersi riassumere con: “dal lavoro ibrido non si torna più indietro”. Ecco qualche numero sul tema:
- il lavoro ibrido è già al 38%, ed è aumentato di sette punti percentuali ogni anno. Inoltre, da uno studio (titolato “Great Expectation“) avvenuto su 31.000 persone in 31 paesi, insieme a un’analisi di trilioni di segnali di produttività in Microsoft 365 e tendenze del lavoro su LinkedIn, si pensa come probabile che il 53% delle persone consideri la transizione all’ibrido nell’anno a venire;
. - le persone hanno cambiato la propria filosofia sul lavoro (che in inglese viene chiamata “work it equation”): sono cambiati gli equilibri sulla bilancia vita-lavoro e le persone – in particolare dalle generazioni Millennial e Z, non sono più disposte a sacrificare il proprio benessere per il lavoro. Sembra che il 53% dei lavoratori (tra cui il 55% di genitori ed il 56% di donne) ha risposto di aver iniziato a dare maggiore significato alla cura del proprio benessere e della salute, al tempo libero ed al tempo passato con la famiglia, nel post pandemia.

- il 18% degli intervistati ha lasciato il lavoro l’anno scorso (per effetto della YOLO economy e dando origine al fenomeno della Great Resignation). In Italia, su 3.300.000 persone che hanno lasciato il lavoro nel 2021, il 31% (un milione) lo ha fatto volontariamente (fonte GALLUP). Guardando al futuro, è probabile che il 52% della Gen Z e dei Millennial consideri un nuovo lavoro nel prossimo anno.
Perché lasciare il lavoro?
In un contesto di incertezza, in cui le persone vivono una forte preoccupazione per il futuro (circa il 40% nel mondo, il 45% in Italia – fonte GALLUP), quali possono essere i motivi principali che hanno spinto e continuano a spingere le persone a questo tipo di cambiamento? Vediamoli:
Secondo il Global Index di Microsoft
- benessere personale o salute mentale (24%),
- equilibrio tra lavoro e vita privata (24%),
- rischio di contrarre il COVID-19 (21%),
- mancanza di fiducia nell’alta dirigenza/leadership (21%),
- mancanza di orari di lavoro flessibili o posizione (21%).
Secondo l’Indeed Workplace Happiness Report, in UK, per mancanza di:
- remunerazione equa (26%);
- felicità al lavoro (21%);
- energia nelle attività (19%);
- opportunità di apprendimento (16%);
- flessibilità (14%).

Engagement e Leadership
Un altro tema che viene a galla dai report è quel confuso confine tra: le nuove tecnologie, strumenti e skills; i nuovi modelli di leadership; un nuovo modo di lavorare. Ha naturalmente a che fare con quella accelerazione tecnologica che la pandemia ha portato ed ha prodotto quel malcontento del passaggio a forme di lavoro “smart” (il 21% dei lavoratori sono ingaggiati, nel mondo, e solo il 4% in Italia – Gallup).
Parliamo ad esempio di “Leadership e meetings”.
Il passaggio dalla riunione dal vivo a quella digitale, ha generato crisi nei processi aziendali e nelle persone. Ci troviamo di fronte ad una forbice: da una parte i lavoratori che tendono a scegliere sempre di più un modello di lavoro ibrido o remote e dall’altra parte troviamo i manager, di cui il 50% desidera un ritorno in ufficio completo per quest’anno.
Anche gli amici di lavoro contano
Oltre a esaminare le relazioni formali sul posto di lavoro, la ricerca ha esplorato le amicizie più profonde sul posto di lavoro. Il 59% dei dipendenti ibridi e il 56% dei dipendenti remoti hanno meno “amicizie” di lavoro da quando sono diventati ibridi o remoti. Questo può contribuire a sentimenti di solitudine.
Il 55% dei dipendenti ibridi e il 50% dei dipendenti remoti si sentono più soli al lavoro rispetto a prima di passare all’ibrido o al remoto. Il 66% degli intervistati afferma che fare chiacchierate informali con il caffè sembra virtualmente “più un lavoro ingrato” che non un incontro di persona.
Il lavoro da remoto ha i suoi lati positivi, con una maggiore flessibilità, un risparmio sul carburante (ed un minore inquinamento), ma ha anche i suoi lati negativi, come questo peggioramento delle relazioni, con conseguente diminuzione di benessere lavorativo e creatività.

Per quello che riguarda i meetings, invece, viene sottolineato come, il tempo settimanale trascorso nelle riunioni per l’utente medio di Teams, sia aumentato del 252% da marzo 2020 e il lavoro fuori orario e il lavoro nel fine settimana sono aumentati rispettivamente del 28% e del 14%.
State of the Global Workplace – GALLUP
I dati che possiamo trarre dal report 2022 di Gallup si riferiscono all’ambiente lavoro in modo più ampio, senza focalizzarsi solo sui temi legati alla pandemia ed ai cambiamenti tecnologici e procedurali. Si parla di engagement, felicità e tristezza al lavoro, di stress ed ansia. Ed i numeri non sono affatto buoni.
Engagement: il tasso di coinvolgimento al lavoro, nel mondo, è molto basso. Solo una persona su 5 (il 21%) si sente ingaggiata sul posto di lavoro. In Europa questo tasso scende al 14% ed in Italia al 4% (ultima posizione in classifica).
Stress: misurato con la domanda “ti sei sentito/a stressato/a ieri?”. La risposta è stata positiva per il 44% delle persone nel mondo, il 14% in Europa ed in Italia ha risposto affermativamente una persona su due.
Tristezza: anche per questo tema l’Italia ha un – appunto – triste primato, col 27% di persone che vivono una situazione di tristezza al lavoro. Siamo al secondo posto al mondo per tristezza sul lavoro. Un po’ meglio nel mondo, col 23%, ed ancora di più in Europa, con un tasso del 21%.
Preoccupazione: il tasso di ansia e preoccupazione è molto alto nel mondo, con un 40% di risposta affermativa, un po’ meno in Europa (37%), ma torna ad alzarsi in Italia, raggiungendo un 45%

OECD – Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico
Quella che inizia a tratteggiarsi è una situazione mondiale, europea ed italiana per nulla positiva e felice. Certo ci sono realtà in contro tendenza, ma è importante conoscere i principali trend globali, per potersi fare anche un’idea di quelli che potrebbero essere alcuni andamenti.
In particolare: i trend dell’economia, della felicità e del lavoro.
Su questo tema, l’OECD aggiunge qualche “fotografia” sulla realtà europea (e globale) attuale, con focus sulla guerra in Ucraina e le sue conseguenze.
Rallentamento della ripresa: il primo punto che viene messo in evidenza, forse anche con una perifrasi per alleggerire, è l’impatto di questa guerra sulle economie mondiali. In un momento, quello del post Covid, in cui si puntava ad una ripresa (con un tasso di crescita previsto del 4,5%), i dati ci informano non solo che questa ripresa è più lenta (3% reale), ma che è in calo (2,75% per il prossimo anno).

Inflazione: al fianco di una ripresa lenta, c’è anche il tema del valore della moneta, misurabile con una inflazione al 9%. Diminuisce il potere di acquisti delle famiglie e delle organizzazioni (lo abbiamo già visto col caro bollette).

Problemi globali di rifornimento: aggiungiamo anche che, con la situazione Covid-19 non ancora risolta a livello globale e con le varie e diversificate politiche per affrontare la situazione, anche la continuità delle vie di rifornimento non è garantita. Preoccupazione in più sia per l’approvigionamento di materiali per le organizzazioni (che non riescono spesso a fare stock, per i costi proibitivi, e trovandosi ad acquistare “alla bisogna”, potrebbero trovarsi senza materiali), sia per i carrelli della spesa (sia come costi che come reperibilità).

Anche l’ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) indica alcune problematiche europee legate alla guerra in Ucraina, come: l’aumento delle materie prime (nickel, carbone, gas, grano, alluminio), le emigrazioni di massa (oltre 3,8 milioni di profughi), l’economia russa (-8% del PIL, che dovrebbe arrivare a -17% a fine anno), la chiusura della borsa azionaria (in Russia, dopo il crollo del -45% delle MOEX – le 50 aziende più importanti), l’impennata del petrolio (massimo storici dopo il 2008).

World Happiness Report 2022
Prima di arrivare al World Economic Forum, che ci aiuterà a tirare delle somme e ad individuare alcuni “temi caldi”, menzioniamo il World Happiness Report, il report mondiale sulla felicità, che nel 2022 ha celebrato i suoi 10 anni di attività.
È importante menzionarlo adesso, perché una delle voci che va a considerare la “felicità misurata” pro capite, nel mondo, è proprio il GDP (PIL pro capite), che abbiamo appena visto essere in forte discesa.
È un valore fondamentale, perché comunque ci dà la misura di quanto, quella persona, si possa sentire a suo agio nel muoversi nel mondo, prendere delle decisioni, sentirsi libera di realizzare il suo percorso. Al fianco di questo indice ce ne sono altri, che vanno a misurare – da una parte – valori di carattere quasi “istituzionale” (fiducia nelle istituzioni: politica, informazione, polizia, ecc…), dall’altra alcune voci più legate al tema della felicità (in senso eudaimonico):
Positive affect: misurate con la quantità di risate quotidiane, di fiducia e di emozioni positive. Sono in calo, ed è uno dei motivi per cui insistiamo così tanto ad insegnare lo Yoga della Risata: aiutare persone in tutto il mondo, in Italia in particolare, a tornare a ridere di più, per avere tutti i benefici di questa pratica, sia sulla salute, che sulla felicità personale e sociale.
Generosità: le azioni gentili e generose sono segno di civiltà e rispetto, generano fiducia e permettono di costruire reti sociali più solide.
Interessi: dedicare il tempo libero ai propri interessi è fondamentale. Ricordiamo che l’interesse è una delle dieci emozioni positive individuate dalla Fredrickson e, come tale, è capace di generare in noi felicità e benessere.
Negative affect: naturalmente il report valuta anche le emozioni negative, gli stati di ansia e di stress, così come ha fatto Gallup. E di fatto i risultati tendono a dire che a livello globale c’è un forte peggioramento.
Benevolenza
Tra tutte queste notizie negative, che vedono comunque una generale diminuzione della felicità nel mondo (ed in Italia la discesa dal 25° al 31° posto), c’è una notizia positiva: nel periodo del Covid-19, sono aumentate le azioni di benevolenza nel mondo. Un po’ quelle azioni di generosità e gentilezza ci cui si è parlato, con un particolare riferimento ad azioni di volontariato e beneficienza.

Focus mondiali sul tema lavoro (e felicità)
Entriamo nella seconda parte dell’articolo, cercando di riassumere quelli che possono essere dei trend, dei driver o comunque degli elementi fondamentali, universalmente riconosciuti, verso i quali portare attenzione per osservare cosa sta accadendo nel mondo del lavoro.
Sul 2022 ci sono dati aggiornati nel Report globale, mentre nel 2020 uscì un report dedicato al tema del lavoro, intitolato “The future of Jobs”, da cui prendiamo qualche spunto.
Anzitutto andiamo a raccogliere alcuni “risultati chiave” individuati finora, un riassunto di quei trend più urgenti che i leader aziendali devono conoscere nel 2022:
1. Un nuova filosofia del lavoro
I lavoratori hanno un modo nuovo di risolvere l’equazione “equilibrio vita-lavoro” (YOLO economy, Great Resignation), preferendo non rinunciare al benessere, per uno stipendio.
2. Modelli di leadership
I manager si sentono incastrati tra un modello di leadership vecchia e le necessità ed aspettative dei dipendenti di oggi, che sono sempre più infelici e consapevoli che è possibile lavorare in modo diverso (la leadership “gentile”).
3. Flessibilità
C’è una richiesta di maggiore flessibilità lavorativa, sia negli spazi (la questione smart working, soluzioni ibride e pendolarismo), sia nei tempi (orari ridotti, lavoro nel weekend), che nelle procedure (processi orizzontali e non verticali).
4. Il post Covid-19
Il Covid ha lasciato delle tracce che hanno una possibile continuità (long Covid) sulla salute, sulla psiche e la produttività delle persone, come anche sulla socialità (paura delle relazioni, solitudine), con cui dovremo fare i conti.
5. Crisi economica globale
La crisi economica globale non è solo crisi del denaro, ma anche di risorse (e talenti), continuità di business e sicurezza per privati ed organizzazioni.
6. IV rivoluzione industriale
L’accelerazione data dalla pandemia ha portato ad un aumento di: automatizzazione (+50%), digitalizzazione (+84%) e remote work (+83%). Ma il salto è stato improvviso e non tutti sono stati capaci di attrezzarsi. Abbiamo quindi visto chiudere diverse attività e crescerne delle altre che avevano un approccio alla tecnolgoia (ed alle sue procedure) più pronto.
7. Startup
Non dimentichiamoci che siamo nel’era delle startup innovative (in particolare di tipo digitale). La loro apparizione sul mercato ha significato rendere il mercato del lavoro più competitivo, veloce e caotico, più “liquido”, in cui le regole non sono più scritte (un gigante può crollare in pochi giorni, così come una nuova startup, diventare un gigante).
8. Upskilling e reskilling
Con questa rapidità di mercato c’è una particolare difficoltà nell’individuare, formare e mantenere i talenti. Da una parte perché i giovani valutano il lavoro in modo diversi (vedi il punto 1), dall’altra perché c’è un continuo e rapidissimo mutamento di figure professionali (comparsa nuovi lavori – circa 97 milioni di posizioni – e sparizione di altre mansioni e ruoli 85 mln) e skills da apprendere: la formazione per un upskilling e reskilling è fondamentale e permanente. Tutto questo si associa all’altissimo turnover già esistente, generando un mercato del lavoro estremamente liquido ed instabile.
9. Green revolution
La transizione “green” è un obiettivo mondiale, verso cui tutte le organizzazioni sono chiamate. Al suo fianco troviamo la richiesta sempre maggiore, da parte di collaboratori, dipendenti e clienti, di un purpose ecosistemico reale, ovvero di un impegno delle organizzazioni ad agire verso un bene comune: il pianeta. Da qui l’importante evolversi di BCorp e Società Benefit.
10. GAP
Oggi si parla moltissimo (e si agisce in questa direzione) di inclusività, che non è solo dei sessi e delle razze, ma anche generazionale. Per la prima volta nella storia ci troviamo ad avere 5 generazioni diverse che lavorano negli stessi uffici insieme e dobbiamo comprendere come avvalorarle tutte e permettere loro di dialogare costruittivamente.
11. Scenario politico-economico internazionale
Infine elenchiamo e ricordiamo quello che sta accadendo non solo sullo scenario europeo, con la guerra in Ucraina ed una Russia che non sembra voler fare passi indietro nel conflitto – politico – con America ed Europa, sia la profonda trasformazione degli equilibri economici mondiali, che si spostano sempre più verso il BRICS e le loro alleanze (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica).

Questi indici sono estratti da varie fonti, che abbiamo in parte menzionato e di cui abbiamo cercato di agglomerare i dati, individuandone dei trend. Riportiamo qui le fonti e gli articoli principali:
- Future of the Jobs report 2020 – World Economic Forum;
- Report sul lavoro 2022 – WEF
- 6 trend mondiali sul lavoro – WEF
Il futuro del lavoro
Accediamo ora all’ultima parte dell’articolo, in cui cerchiamo di delineare alcune aperture possibili sul futuro del lavoro (ed in parte sui lavori del futuro). In alcuni casi prenderemo delle considerazioni e delle possibili previsioni già fatte, da futuristi di tutto il mondo, ma tenendole con le pinze, come esercizi di riflessione ed apertura della visione, piuttosto che come delle vere e proprie anticipazioni.
Lavorare con i futuri, infatti, significa mettere in atto un programma strutturato, che ci porta a definire in modo strategico degli scenari possibili (e plausibili), da cui far discendere delle strategie. Di norma si inizia con una definizione dell’obiettivo, per poi procedere a raccolta di dati, costruzione di scenari e delle strategie.
In questo articolo, invece, citeremo alcuni studi che si sono posti la domanda sul “futuro di…”, per trarne degli spunti, ma senza la pretesa di trovarci soluzioni.
Millenium Project e IIF – Italian Institute for the Future
Il primo studio che cito è un breve report di Mara Di Berardo, riportato in una raccolta dell’IIF. È un estratto aggiornato di uno studio del Millenium Project iniziato nel 2014. Quest’ultimo è un lavoro che ha coinvolto diversi professionisti di futuri in tutto il mondo (29 paesi), che si sono interrogati insieme sul “Futuro del lavoro nel 2050”, delineando 3 scenari ed alcune azioni fondamentali da mettere in atto.
Anche in questo lavoro vengono presi in considerazione diversi dei punti fondamentali selezionati nella sezione 2 di questo articolo, ma c’è un elemento che viene messo in evidenza in modo importante: il tema delle le disuguaglianze economiche. Seppure il tasso di povertà mondiale stia diminuendo (dati Banca Mondiale), il divario di reddito sta crescendo, con l’1% della popolazione ricca, che possiede il 46% delle ricchezze totali.
3 scenari
Ecco qui riportati, direttamente dalla traduzione italiana del sito del Millenium Project, i tre scenari:
2050 Scenario 1: È complicato: un miscuglio.
Una proiezione di tendenza business-as-usual della crescente accelerazione del cambiamento con intelligenza e stupidità ha caratterizzato il processo decisionale. Adozione irregolare di tecnologie avanzate; alta disoccupazione in cui i governi non hanno creato strategie a lungo termine e successo misto sull’uso del reddito di base universale. I poteri della gigantesca corporazione sono spesso cresciuti oltre il controllo del governo, in questo mondo multipolare del 2050, multipolare, virtuale e virtuale.
2050 Scenario 2: turbolenze politico/economiche – futura disperazione.
I governi non prevedevano l’impatto dell’intelligenza artificiale generale e non avevano strategie in atto poiché la disoccupazione è esplosa negli anni ’30 lasciando il mondo del 2050 in subbuglio politico. Il polarismo sociale e il blocco politico in molte forme sono cresciuti. L’ordine globale si è deteriorato in una combinazione di stati-nazione, mega-corporazioni, milizie locali, terrorismo e criminalità organizzata.
Scenario 3: Se gli esseri umani fossero liberi: l’economia dell’autorealizzazione.
I governi hanno anticipato gli impatti dell’intelligenza artificiale generale, condotto ricerche approfondite su come introdurre gradualmente i sistemi di reddito di base universali e promosso il lavoro autonomo. Artisti, magnati dei media e intrattenitori hanno contribuito a promuovere il cambiamento culturale da una cultura del lavoro a un’economia di autorealizzazione.
Ruota dei futuri sulla guerra in Ucraina
Oltre al report del Millenium Project, ho cercato online qualche lavoro costruito su un’altra pratica tipica dei futuristi: la ruota dei futuri. Ne ho trovata una, fatta da un professionista di futuri e politica, ma non mi è ben chiaro se sia fatta in collaborazione o in autonomia. Quindi anche in questo caso la prendiamo solo come riflessione, non come indicazione.
Qui uno screenshot del lavoro di Victor Motti. L’invito è ad andare a vedere il lavoro completo (qui).
Questo tipo di esercizi di futuri, aiuta a riflettere su una serie di conseguenze possibili e anche mostrare quanto, oggi, siamo in un contesto di complessità per il quale, da un evento circoscritto ad una zona del mondo, possono seguire ripercussioni nel mondo.
Un po’ come è successo col Covid, insomma: nato in un paese – per molti prima sconosciuto – della Cina e poi diffuso con effetti disruptive.
Da queste brevi riflessioni possiamo trarre una serie di traiettorie di osservazione, con uno sguardo a medio termine:
la guerra delle risorse
Il riferimento al caso sul gas, tra Russia ed Europa è palese, ma ci sono anche: il conflitto sui minerali rari, estratti principalmente nei paesi della nuova economia (BRICS), l’interesse per lo spazio (è recente la notizia della Cina che ha portato Elio3 dalla Luna), la crisi climatica (e delle risorse) globale.
velocità a confronto
Un altro conflitto è quello tra la velocità di trasformazione e generazione di nuove tecnologie e quella dell’implementazione delle stesse, intesa sia a livello organizzativo, che personale. Sotto Covid non tutte le organizzazioni sono state in grado di mettere in atto una transizione tecnologica e né le persone. La capacità di far fronte a questo cambiamento sarà un elemento distintivo nel mercato del lavoro futuro.
le spinte sociali
Dall’interesse ad una maggiore uguaglianza economica, a quella di un’etica più estesa, negli ambienti di lavoro, capace di rispettare tutti nelle loro unicità, che siano fisiche, di pensiero, età. A questo si associa anche l’interesse sempre più alto di finalità green, etiche e di impatto positivo, delle organizzazioni, in cui i lavoratori vogliono vivere bene e realizzarsi, portando contributo.
la trasformazione del lavoro
Quello che sta accadendo sul nuovo modo, in particolar modo dei giovani (ma non solo: una parte di coloro che si dimettono, sono over 65), di intendere l’equilibrio vita-lavoro, che insieme alla continua necessità di up- e re-skilling, porta ad un mercato dove non saranno più le organizzazioni a definire il prezzo del lavoro, ma chi ha le competenze.
Inseriamo qui anche tutto il movimento tecnologico tipico della IV rivoluzione industriale, con la spinta digitale e di trasformazione che porta con sé, anche nel senso di lavori vecchi e nuovi che si daranno il cambio (qui c’è un articolo interessante su possibili nuovi lavori in arrivo).

Conclusioni
Cosa dire, quindi, del futuro del lavoro? Ci sono sicuramente moltissime coordinate, trend, situazioni che possono partecipare allo sviluppo del lavoro. E stiamo parlando di una visione parecchio occidentale, che non considera molto altre visioni. Stiamo guardando attraverso una piccola fessura, che ci lascia sempre un po’ mancanti.
Inoltre non abbiamo definito chiaramente un ambiente temporale e spaziale entro cui porre la nostra domanda sul futuro: è il futuro di quale tipo di lavoro? Oppure in che zona? Quale frame temporale?
Abbiamo solo tratto delle riflessioni attraverso quello che possiamo conoscere ed in parte prevedere. Non ci è possibile, invece, considerare con anticipo eventuali eventi disruptive (i famosi “cigni neri” di Taleb), che possono portare ulteriori cambiamenti. Fin qui è stato un lavoro di forecast (in particolar modo nel primo e secondo punto), ovvero una costruzione di scenari dai dati del passato. Per il foresight, per una costruzione di scenari in modo più creativo, che possa tenere in considerazione il presente ed i possibili, abbiamo in parte preso come riferimento il lavoro del Millenium Project, ma ci sarebbe molto altro da fare (qui un articolo sulla differenza tra forecast e foresight).
La riflessione sui futuri del lavoro e sui lavori del futuro rimane quindi aperta. Una cosa che possiamo dire è che il domani non sarà una copia sterile dell’oggi. Per poter avere un’idea più chiara, sarebbe piacevole co-costruire una o più visioni. Magari ad iniziare da dei commenti di confronto, per ampliare la visione, colmare lacune e costruire alternative.

MATTEO FICARA
Filosofo & Futurista
Co-founder di Happiness for Future srl
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