“Vivere una vita piena”, sembra questo lo slogan del momento. Sempre più persone mettono il significato della vita nella top ten dei desideri: si cerca uno scopo a cui dedicarsi, qualcosa per cui essere di contributo; ci si fanno mille domande cercando il proprio “ikigai” e si scelgono sempre più le organizzazioni purpose driven.
Da qualche anno è emerso sempre con maggiore importanza il tema del “significato di vita”. Ha avuto un exploit durante la Pandemia, col fenomeno della Great Resignation, per cui molti lavoratori giovani o over 50 hanno dato le dimissioni per sfuggire alla morsa del “lavorare per prendere uno stipendio” e cercare una possibilità di realizzazione personale nella vita ed attraverso il lavoro.
Ed il trend non si è fermato, anzi: quello che abbiamo visto era – probabilmente – solo la punta di un iceberg: di fatto quel movimento incarnava non solo il sentire di un momento, ma di un’epoca. I dati sulle scelte delle Generazioni più giovani lo confermano:
I giovani cercano più significato nel lavoro: per il 62% dei Millenial il lavoro incide sull’identità, ma solo per il 49% della Gen Z. – Fonte: Deloitte 2023
Il 59% dei lavoratori nel mondo è in quiet quitting – Fonte: HBR – 2023
Identità e lavoro
Quel meccanismo che ha portato le precedenti generazioni ad identificarsi col proprio lavoro, si è in qualche modo inceppato. Oggi non siamo più “i dottori” o “gli ingegneri”, la nostra realizzazione non ha più la forma di un ruolo professionale e sociale.
Sempre più cerchiamo di rendere la nostra vita qualcosa di utile, di contributo agli altri. Ecco cosa spinge i giovani talenti a cercare organizzazioni il più orizzontali possibile, ove ci siano: trasparenza, flessibilità, la possibilità di crescere e formarsi, maggiore attenzione alla cura delle persone e soprattutto un forte allineamento dei valori e delle visioni.

Le persone sembrano aver “perso il senso” di quello che stanno facendo, o forse si sono accorte che non c’è un significato forte nelle loro azioni di ogni giorno ed allora scelgono di fare il meno possibile, quasi non esistessero nemmeno (quiet quitting).
E anzi, le cose stanno peggiorando, perché ad oggi si parla anche di loud quitting, ovvero di un modo “attivo” di essere disingaggiati sul lavoro, come riporta anche lo “State of the Global Workplace 2023 Report” di Gallup:

Inoltre, se questo fenomeno di “sentirsi NON coinvolti al lavoro” è importante nel mondo, è ancora più grave in Italia, che già dal 2022 ha il primato: solo il 5% delle persone si sente coinvolta al lavoro.
E per finire, il dubbio sul significato non colpisce solo le persone: in un convegno di futuristi a marzo 2023 (Milano), Christin Pfeiffer, responsabile dell’unità di foresight per UNESCO, ha raccontato che i 35 Stati membri si sono riuniti per chiedersi di cosa l’umanità avrà più bisogno nel futuro e la risposta è stata…

Non il denaro, non le informazioni, ma… THE MEANING, il significato. Un significato che funga da guida e ci dia una direzione chiara verso cui muoverci.
[qui il post Linkedin del nostro founder Matteo Ficara, che era presente all’evento]
Cosa ha significato? Cosa dà significato?
Che il “significato di vita” sia importante per la pienezza umana, lo sappiamo da sempre. Già testi della filosofia greca ne parlavano ed ancora prima ne troviamo traccia negli ammonimenti di testi ancora più antichi. Ma basta già prendere le parole di Aristotele, quando definiva la filosofia la somma delle scienze, deputata alla ricerca dell’eudaimonia, una felicità che veniva intesa come:
la ricerca del significato della vita e di buone pratiche per divenire un essere umano virtuoso.
Ma… cosa cerchiamo, esattamente, quando cerchiamo il significato della vita?
Secondo la teoria “del benessere” di Martin Seligman – padre della psicologia positiva – il “Meaning” è uno degli elementi costitutivi della felicità, come spiega nel suo PERMA model (2011):

Nelle cinque lettere dell’acronimo, la M sta per Meaning, il significato. Ma non ci spiega che cosa esso sia o come partecipi a riempire la coppa della nostra felicità.
Qui si potrebbe aprire un dibattito etimologico probabilmente lungo e parzialmente infruttuoso, attorno a parole che spesso usiamo come sinonimi, ma che sono molto diverse tra loro: significato, senso, scopo, proposito.
Diremo solo che la parola “scopo” ha derivazione dal verbo greco del “vedere” e che quindi rappresenta una specie di “visione ideale (di se stessi, del mondo, del divino)”, mentre invece “pro-positum” ha più il senso di “ciò che abbiamo posto innanzi”, quindi un obiettivo (e non sempre una visione è obiettivo). Per chiudere, “senso” viene dal “sentire” ed indica quella “sensazione” che spesso ci guida a prendere scelte – per attrazione – o che ci lascia sospesi quando “non sentiamo il senso di qualcosa”.
Relazione tra significato e felicità
Ragionando solo sulle parole c’è il rischio di perdersi in un dedalo di significati, senza trovare un senso. Fortunatamente a nostro supporto arrivano ricerche scientifiche e riflessioni.
Sappiamo di una stretta relazione tra significato di vita e felicità già dalla ricerca di Dan Buettner – National Geographic – sulle Blue Zones, le aree in cui vivono la maggiore concentrazione di centenari in salute. Tra i tanti fattori osservati nella routine di vita di questi centenari, infatti, c’è proprio il darsi uno scopo: partecipare con le proprie azioni ad un bene comune.
È da questa ricerca che emerge il termine “ikigai”, ormai divenuto famoso e spesso usato per fare un lavoro sul significato di vita. Viene dalla blue zone di Okinawa, in Giappone, e significa “motivo di vita”.

Una delle più recenti ed interessanti è ad opera di Anastasia Besika – Department of Psychology, University of Zurich, Zürich, Switzerland. Besika ha riflettuto sul meaning in un articolo intitolato: “Un amore eterno: il rapporto tra felicità e significato” (Frontiers in Psychology – 2023).
Il suo è un punto di vista sull’aspetto psicologico del significato, quindi sulla sua funzione per ognuno di noi. Una importante differenza che viene tracciata è tra: ciò che ha significato e ciò che dà significato.
Per spiegarla in breve: quando viviamo emozioni, probabilmente stiamo vivendo eventi importanti, che hanno un significato per noi e ricorderemo nel tempo. Questi eventi partecipano a costruire l’insieme del “significato di vita” della nostra esistenza, ma… non sono essi stessi IL significato della nostra vita.

Qui torna l’aspetto fondamentale indicato in incipit, sull’identificazione delle persone col loro lavoro: se ciò che dà significato alla mia vita è “identificarmi col mio lavoro”, quando avrò questo, starò dando alla mia vita un significato.
Ma se per me “non ha senso identificarmi col mio lavoro”, allora questo non darà significato alla mia vita. Anzi: vivere in una realtà dove questo ha senso, ma non lo ha per me, mi farà sentire fuori posto, di certo non ingaggiato e magari non riconosciuto (quindi arrabbiato? Potrebbe essere causa del loud quitting).
Nel suo articolo, la Besika, passa anche in rassegna altri studi e ricerche, e afferma che:
Meaning is associated with a range of psychological benefits including, ability to cope better with adversity (Rose et al., 2023); enhancement of health and stress moderation (Schnell and Krampe, 2020); work enjoyment (Bonebright et al., 2000); high levels of self-esteem (Lew et al., 2020) and life satisfaction (Wolfram, 2022). In contrast, low levels of meaning are associated with a range of negative outcomes such as substance misuse (Csabonyi and Phillips, 2020), stress (Trzebiński et al., 2020), and suicidal ideation (Marco et al., 2020)
Il significato è associato a una serie di benefici tra cui:
- la capacità di affrontare meglio le avversità (Rose et al., 2023);
- il miglioramento della salute e la moderazione dello stress (Schnell e Krampe, 2020);
- un maggiore piacere lavorativo (Bonebright et al., 2000);
- alti livelli di autostima (Lew et al., 2020);
- e soddisfazione di vita (Wolfram, 2022).

Coltivare lo stile di vita per aumentare significato di vita
La ricerca della Besika ci conduce ad una riflessione profonda:
As a dynamic multisystem, a person strives for stability as they move in physical space, and during their development, across time (i.e., dynamic balance). A primary requirement for dynamic balance is maintaining consistency by connecting the cognitive system to behavior. In psychological terms, such a connection is facilitated by meaning. The model suggests that happiness serves as a marker of a person’s consistency and meaningful interpretations of their lived experience.
Riportando le parole della Besika, possiamo dire che il significato è una sensazione di coerenza tra il mondo pensato (scopo / visione) ed il nostro comportamento. Quando c’è questo allineamento, ciò ci fa vivere una sensazione di piacere, riconoscimento, “essere nel giusto” (o che “le cose hanno senso”) e ci fornisce emozioni positive, senso di realizzazione e pienezza.
Questo significa che: quando ci sentiamo “felici” stiamo vivendo in un modo denso di significato, siamo coerenti con noi stessi e riusciamo a riconoscere / dare significato alle nostre esperienze di vita.
Ma se è la coerenza tra visione ed azione, a farci sentire di vivere una vita “che ha senso”, allora abbiamo bisogno di:
- diventare più consapevoli delle nostre visioni;
- saper costruire prospettive che hanno (e ci danno) significato;
- saper gestire l’attenzione, il focus e l’energia mentale (per riconoscere ciò che ha senso);
- agire in modo ottimale per realizzare quella visione.
Torna il concetto di Aristotele: ricercare il senso della vita e quelle buone pratiche di virtù, che ci rendano degli esseri umani felici, che vivono una vita piena di significato.
In poche parole, si parla di coltivare consapevolezza ed uno stile di vita sano, che ci permetta di essere al posto con la coscienza, al giusto posto e di contributo agli altri.
Lo stile di vita
Lo stile di vita è sempre più al centro delle nostre ricerche. D’altronde il dato che lo riguarda è molto importante: il 74% degli stati di malessere e malattia, al mondo, è correlato allo stile di vita (WHS 2023).
Uno stile di vita scorretto, ci porta facilmente a vivere emozioni spiacevoli, isolarci e magari cadere nella solitudine, vivere alti livelli di stress o addirittura depressione, farci sentire confusi e con una vita senza alcune significato.
Il lato positivo, però, è che sullo stile di vita si può lavorare intenzionalmente (vedi la ricerca sulla felicità intenzionale, della Ljubomirsky), individuando pratiche di benessere semplici ed efficaci, da praticare fino a che non diventano le nostre routine e, a quel punto, saranno parte del nostro stile di vita.
E questo è proprio lo scopo di Vivi365, il programma più completo per il tuo benessere passo-passo: 1 anno di formazione, 12 temi mensili unici, 4 livelli di benessere (fisico, emozionale, mentale e spirituale), per rendere la felicità il tuo nuovo stile di vita.
Vivi365 è stato scelto da oltre 400 persone in due anni ed ha dato risultati straordinari, con un +49% miglioramento medio del benessere per area.

Vivi365 è stato anche pluripremiato: da Regione Marche e SMAU, come miglior proposta per benessere e salute in azienda (giugno 2023) e da CNA, che ci ha riconosciuti come menzione speciale: migliore startup della provincia. Nonostante questi premi importanti, il più grande per noi sono i risultati raggiunti e la scelta di rinnovare l’iscrizione annuale che il 60% degli iscritti ha preso.
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